Vialli e il tumore: «Finiti 17 mesi di chemio, nessun segno di malattia. Ora posso dire...
In questi giorni di battaglia, resistenze e troppe morti, si cercano esempi nelle vite speciali e nei libri che le raccontano. Uno che può tornare utile rileggere è senz’altro «Goals. 98 storie + 1» di Gianluca Vialli. Pagine di fine 2018 in cui l’ex campione, oggi nello staff della Nazionale dell’amico Roberto Mancini, racconta il meglio della sua carriera ma, soprattutto, la sua battaglia con il cancro, che aveva.
In questo contesto, naturalmente, pensare al calcio e al dopo non ha senso. E se lo ha è solo per stoppare ogni inutile salto in avanti: «Si torni in campo solo quando i medici e gli esperti diranno che è possibile, anche se sono io il primo a desiderarlo. Ma nel frattempo occorre un atto di responsabilità generale, al di là dell’emergenza dell’intero sistema». E pazienza se salteranno gli Europei, cui Vialli avrebbe partecipato come team manager dell’Italia: «Aspetteremo un anno. E nell’attesa, ogni azzurro potrà impossessarsi di più del progetto».
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Gianluca Vialli: “Ho vinto il tumore, non ci sono più i segni della malattia”Gianluca Vialli rivela in una intervista di essere arrivato ad un punto di svolta nella sua lotta contro il tumore al pancreas. Ora l'ex centravanti di Samp e Juve sta meglio e, soprattutto, dice: «A dicembre ho concluso 17 mesi di chemioterapia, un ciclo da 8 e uno da 9 mesi. Un percorso durissimo dal punto di vista fisico e mentale, anche per uno tosto come me». «Nel mio caso – continua – la malattia è un viaggio, un percorso di introspezione, un’opportunità; ne avrei fatto volentieri a meno, però è successo e allora cerco di metterla a frutto. Provo un senso di colpa per non essere lì, nella mia Lombardia, anche se le mie condizioni non lo avrebbero permesso. Vorrei che la famosa frase 'quello che conta è la salute' diventasse davvero centrale. Vorrei che non accettassimo più nessun taglio alla sanità pubblica. La bellezza dello sport e del calcio, le emozioni e i ricordi ci aiuteranno a tornare a vivere pienamente. Sarà un esercizio di piacere e bellezza: sarà stupendo. E dovremo dare più spazio alla solidarietà: non recinti più alti, ma tavoli più lunghi».
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