Due avvocati rischiano la vita per cercare le prove del naufragio del traghetto Al Salam Boccaccio affondato nel Mar Rosso.
stizia contro oblio. Che ne sanno le mille anime che giacciono da 14 anni in fondo al mare, nell’abisso di coralli a 57 miglia al largo di Hurgada, di certificazioni marittime, di ricorsi alla Corte di Giustizia europea, di diritto internazionale. E di avvocati che vanno a cercare la verità di uno dei peggiori disastri marittimi sulle coste indiane, calandosi nell’inferno delle navi di port Alang come se fossero personaggi di un romanzo di John Grisham.
Nessuna vittima italiana, ma la tragedia coinvolge la Rina Spa, la società operativa del Registro Italiano Navale, ente che verifica e certifica le condizioni tecniche delle navi. Il traghetto, con altre tre imbarcazioni gemelle, fino al 1999 faceva parte della flotta Tirrenia. Tutte varate con nomi di poeti. La Al Salam Boccaccio 98 era stata modificata, ampliata, ceduta a una società panamense e certificata dalla Rina.
Nel 2013, di fronte al tribunale di Genova, è stata avviata un’azione nei confronti della Rina e dell’Ente Registro Italiano Navale per il risarcimento dei danni. L’Ente ha respinto l’azione sostenendo di aver agito come un’estensione dello Stato di Panama, esercitando una funzione pubblica, quindi coperto da immunità. Nel 2018 il tribunale ha chiesto il parere alla Corte di Giustizia.
Una lunga battaglia. Per cercare prove a sostegno delle loro tesi, gli avvocati Stefano Bertone e Marco Bona sono andati in India, nel cimitero di navi di Alang. Spacciandosi per architetti, in cerca di cimeli navali, hanno comprato pezzi di una terza nave gemella, la Al Salam Carducci, in fase di demolizione.
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