Qualche anno fa a Broadway debuttava il fortunatissimo musical Hamilton. Si ispirava a un padre fondatore degli Stati Uniti, Alexander Hamilton, che volle la nascita di una banca centrale Usa, istituì il mercato dei titoli di Stato e centralizzò in un unico debito nazionale il debito pubblico degli Stati federati. È una storia lontana che sa dialogare con i giorni elettrici del presente, fatti di rischi che possono inabissarci e di opportunità che possono diventare svolte. L’Europa non ha trovato subito una risposta alla crisi generata dalla pandemia. Si è persa a discutere di emissioni di eurobond e uso di fondi vincolati all’emergenza, a contrapporre Paesi virtuosi e Paesi viziosi. Il ritardo è stato recuperato quando la crisi sanitaria ha minacciato la tenuta del sogno europeo. Così si è raggiunto il draft per il Recovery Fund. Si sono aperte le porte ai bond europei e a un primo vero tentativo di unione fiscale. Quel passaggio ha iniziato a esser definito come un “Hamilton Moment”. Una fase costituente che può dare forma a un’Europa davvero unita, anche nei suoi debiti. Già ai tempi di Hamilton, con gli Stati federali sul lastrico, la salvezza era comune. L’unica soluzione per unire gli Stati era unire i loro debiti. Davanti all’emergenza l’Europa si è attivata. Ma è ancora troppo ferma quando l’emergenza non viene a scuoterla. Penso a come rimane fuori dal campo di battaglia dei dati, a come ha perso la corsa tecnologica e assiste alla guerra sino-americana per l’egemonia in questo senso. L’Hamilton Moment ha rassicurato i mercati finanziari, ha arginato l’ondata di disgregazione ed evitato che la crisi sanitaria diventasse una catastrofe economica. Può essere oggi quello che nel recente passato è stato il “Whatever it takes” di Mario Draghi. Il Recovery Fund, raggiunto con uno sforzo comune, ha segnato un risultato straordinario che dev’essere un punto di partenza. La sua più grande dote riguarda i sussidi: per la prima volta il forte tende una mano al debole.
. Si ispirava a un padre fondatore degli Stati Uniti, Alexander Hamilton, che volle la nascita di una banca centrale Usa, istituì il mercato dei titoli di Stato e centralizzò in un unico debito nazionale il debito pubblico degli Stati federati. È una storia lontana che sa dialogare con i giorni elettrici del presente, fatti di rischi che possono inabissarci e di opportunità che possono diventare svolte.
Il ritardo è stato recuperato quando la crisi sanitaria ha minacciato la tenuta del sogno europeo. Così si è raggiunto il draft per il Recovery Fund. Si sono aperte le porte ai bond europei e a un primo vero tentativo di unione fiscale. Quel passaggio ha iniziato a esser definito come un “Hamilton Moment”. Una fase costituente che può dare forma a un’Europa davvero unita, anche nei suoi debiti.
Davanti all’emergenza l’Europa si è attivata. Ma è ancora troppo ferma quando l’emergenza non viene a scuoterla. Penso a come rimane fuori dal campo di battaglia dei dati, a come ha perso la corsa tecnologica e assiste alla guerra sino-americana per l’egemonia in questo senso. L’Hamilton Moment ha rassicurato i mercati finanziari, ha arginato l’ondata di disgregazione ed evitato che la crisi sanitaria diventasse una catastrofe economica.
Intanto gli Usa sono lacerati da una doppia crisi, sociale e debitoria. Mai come adesso lo status del dollaro è tanto importante quanto a rischio. Tassi bassi, quantitative easing perenne e tecnologia iperdeflattiva hanno spinto l’uso della leva e il ricorso al debito a livelli quasi inaccettabili per la prima valuta di riserva mondiale. Lo dimostra il rally dell’oro, che segnala più di qualsiasi oscillazione valutaria le preoccupazioni globali verso la politica americana.
È una sfida alla quale non possiamo sottrarci. L’Europa deve avere il coraggio di diventare una forza diversa, motore di sviluppo e argine al potere dei giganti digitali sull’economia europea. Deve farlo perché i sovranismi soffiano e i prossimi anni promettono mareggiate. Il rischio è di naufragare. La navigazione dell’Europa deve passare per un modello altro e indipendente dal capitalismo autoritario cinese e dall’anarco-capitalismo a trazione tecnologica degli Usa.
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