Modi vorrebbe fermare le mire espansionistiche di Pechino ma potrebbe danneggiare le relazioni commerciali. Tensione altissima dopo gli scontri alla frontiera
L’India si trova al momento nella classica contraddizione del sovranismo contemporaneo. Vorrebbe sbattere i pugni sul tavolo per protestare contro gli spintoni espansionisti cinesi ai confini dell’Himalaya, punire il nemico con un severo boicottaggio, ma rischia invece di trovarsi ostaggio di una situazione pericolosa per la bilancia commerciale e per una già rallentata crescita economica, ora affaticata anche della pandemia. Il premier Narendra Modi è bloccato tra due fuochi.
Paladina del boicottaggio sinofobo è la star del cinema Sakshi Agarwal, già ospite del Grande Fratello indiano, che ha subito detto addio a 200 mila follower su TikTok, cancellando l’app con questa dichiarazione: “E’ un primo passo importante per invitare a scegliere prodotti indiani invece che prodotti cinesi.” Insomma, viva l’autarchia e viva il “Make in India,” slogan della non riuscitissima iniziativa del governo Modi per incoraggiare la produzione in India.
I possibili danni di un vero boicottaggio, per ora non confermato ufficialmente da Modi, sono ingenti. Sotto la rabbia che frantuma i telefonini cinesi si nasconde infatti la frustrazione per il disequilibrio nei rapporti commerciali tra Delhi e Pechino. Il deficit commerciale con la Cina l’anno scorso è stato di circa 57 miliardi di dollari, cifra mastodontica se si considera che il commercio bilaterale tra i due paesi è di 92,5 miliardi di dollari.
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