Afroamericano ucciso, proteste e tensioni davanti alla Casa Bianca: scatta il lockdown. Autopsia esclude morte per asfissia [aggiornamento delle 09:28]
La protesta contro l'uccisione di George Floyd, l'afroamericano soffocato con un ginocchio da un agente bianco a Minneapolis, è sbarcata davanti alla Casa Bianca, dove da venerdì si sono radunate centinaia di persone che invocano giustizia per la vittima e denunciano la brutalità della polizia. La Cnn ha riportato anche momenti di tensione quando un giovane bianco, per motivi ancora sconosciuti, è stato portato via dagli agenti con la folla che reagiva inferocita.
Afroamericano ucciso dalla polizia, esplode la rabbia a Minneapolis: proteste e scontri nelle strade in riproduzione....Centinaia di manifestanti hanno sfidato il coprifuoco anche a Minneapolis per protestare contro la l'uccisione di George Floyd, l'afroamericano soffocato con un ginocchio da un agente bianco nella città del Minnesota. I dimostranti si sono radunati nelle vie intorno alla caserma di polizia data alle fiamme.
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Peter Arnett: “La guerra in diretta nel salotto di casa”DALL’INVIATO A NEW YORK. Raccontare la guerra in diretta». Questa era la promessa di Ted Turner, che aveva spinto Peter Arnett ad accettare la scommessa dalla Cnn. Aveva vinto il Pulitzer con l’Ap per il lavoro in Vietnam. Perché passare ad una tv di notizie che stava nascendo? «Mi convinse l’incontro con Turner. Mi spiegò così la sua ambizione: 'Diventeremo l’echo chamber del mondo. Al diavolo le barriere politiche, le scavalcheremo'. Gli altri ci prendevano in giro. Ci chiamavano 'chicken noodle news', perché non avevamo mezzi e i salari erano bassi. Ma proprio questo ci motivava a crescere ed essere sempre i primi sulle notizie». Perché andò a Baghdad e ci rimase da solo durante la guerra? «Avevamo cambiato la stessa definizione della notizia, da qualcosa che era accaduto, a qualcosa che stava avvenendo.Un’opportunità unica di raccontare la guerra in diretta». Cosa ricorda del 17 gennaio 1991, la notte del bombardamento. «Il cielo era così rosso, che sembrava che il sole fosse tornato. Le luci saltarono. Pensai: dannazione, tutto questo per nulla. Ma John Hollman aveva rimpiazzato le batterie nel telefono, e ci passavamo il microfono con Bernard Shaw. Verso le 3 del mattino i primi raid erano finiti, ma altri stavano arrivando». Due settimane dopo intervistò Saddam. Come avvenne? «Fu una sorpresa, perché era un target. Mi portarono con una Bmw nera, di pomeriggio, in una casa sicura nel distretto Cairo di Baghdad. Sapevo che lui era imprevedibile, ma non ero intimidito. Ero stato chiamato per una ragione. Lui era in fuga, io avevo il vantaggio psicologico. La porta si aprì ed entrò lui, solo. Vestito blu, baffi curati, mi diede una forte stretta di mano. Poteva recitare a Hollywood. Mi disse che la sua era la madre di tutte le battaglie, e di chiedergli quello che volevo. Sapevo che sarebbe stata un’intervista controversa, ma la decisione se fosse usata per la propaganda non era mia. La Cnn mi aveva incoraggiato ad intervistare Saddam, e avevo la mia occasione».
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